Javier Pastore riflette sulla sua carriera, le lezioni apprese e la sua nuova vita dopo il ritiro. Ecco i momenti più intensi del suo percorso calcistico.
Conosciuto per la sua classe e il talento che l’hanno portato a diventare uno dei calciatori argentini più apprezzati, Javier Pastore ha da poco chiuso il capitolo calcistico della sua vita, prendendo una pausa dal campo per ritrovare serenità e benessere. Seduto in una caffetteria alla periferia di Madrid, Pastore ha raccontato i momenti più intensi della sua carriera, ma anche la sua scelta di fermarsi e il percorso che sta affrontando lontano dal pallone. Una decisione non facile, come spiega lui stesso, ma necessaria dopo anni di sacrifici e dolori fisici.
L’ex fantasista del Paris Saint-Germain e della Nazionale argentina, vestito in tuta e apparentemente lontano dai riflettori, ripercorre la sua carriera, segnata da anni gloriosi e dalle lezioni apprese accanto a grandi figure come Carlo Ancelotti, Laurent Blanc e persino Diego Maradona, che gli aveva dato il soprannome di “il calciatore maleducato”. Con la sua umiltà e tranquillità, Pastore riflette sul suo passato e sulla felicità che ha ritrovato nella vita di tutti i giorni, ora che può dedicarsi ai figli e alla famiglia.
Quando gli viene chiesto cosa ricordi della sua gioventù, Pastore si illumina. “Amavo il calcio con tutto me stesso,” racconta, ripensando a quando da ragazzino chiedeva a sua madre di accompagnarlo al club ore prima dell’allenamento. “Osservavo i giocatori più grandi e non volevo essere da nessun’altra parte.” Anche quando ha raggiunto il calcio professionistico, Pastore ha continuato a vivere ogni partita con la stessa passione: “Il giorno della partita era il più bello. Indossare gli scarpini significava cominciare a divertirmi, e questo non è mai cambiato.”
Negli ultimi quattro anni, però, il dolore ha preso il sopravvento. Un problema all’anca lo ha costretto a lunghe pause e alla fine alla difficile decisione di fermarsi. “Non ho rimpianti,” confessa, “perché ora posso dedicarmi alla mia famiglia e ai miei amici.” Ma ciò che lo ha davvero portato alla resa è stato un episodio con suo figlio: “Un giorno mi ha chiesto di giocare a palla in giardino, ma io non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal divano per il dolore. In quel momento ho capito che dovevo fermarmi, che era ora di vivere quei momenti con lui.”
Pastore spiega come il calcio gli stesse lentamente scivolando via, tanto che la passione e l’entusiasmo di un tempo avevano cominciato a lasciare il posto alla stanchezza. “Ormai il calcio è diventato molto più fisico. Non mi vedevo più in quel tipo di gioco,” afferma.
Pastore parla con affetto anche dei tecnici che hanno avuto un impatto significativo sul suo percorso. “Ángel Cappa mi ha dato la prima grande opportunità, mentre Delio Rossi a Palermo ha costruito una squadra che mi permetteva di esprimermi al meglio.” Eppure, ricorda in modo particolare i giorni passati sotto la guida di Ancelotti e Blanc al PSG. “Blanc mi ha dato una grande libertà e fiducia, è stato un periodo molto felice della mia vita.”
Un altro nome fondamentale è Maradona, che lo volle con sé per il Mondiale del 2010. “Diego aveva una visione del gioco unica, vedeva le situazioni prima degli altri. La sua umanità era straordinaria,” ricorda Pastore, che racconta con orgoglio il motivo per cui Maradona lo aveva soprannominato “il calciatore maleducato.” Dopo una partita del Mondiale in cui Pastore era entrato e aveva esibito alcune giocate di grande classe, Diego gli disse scherzosamente che era “maleducato” per come si divertiva con la palla, un appellativo che Pastore considerava un complimento speciale.
Pastore riflette anche sugli anni in Nazionale, ricordando le difficoltà e la pressione che tanti dei suoi compagni affrontavano. “Era dura vedere compagni come Messi essere criticati, soffrire, e non poter fare nulla.” Per lui, la vittoria della Copa América è stata la chiave per far finalmente accettare Messi in Argentina, un trionfo che ha dato nuova fiducia alla squadra. “Camminando per le strade del Qatar sapevo che avrebbero vinto il Mondiale,” dice Pastore, ricordando con emozione quei momenti.
Oggi, lontano dai riflettori e dalle tensioni, Pastore si gode la vita di tutti i giorni con la famiglia. Ha lasciato una porta aperta per il futuro, ma non per tornare in campo. “Il calcio è stato la mia vita, ma sapevo che sarebbe durato solo un periodo. Ora sono sereno e vivere a Madrid mi dà una grande tranquillità.”
Conclude parlando dei compagni che lo hanno colpito di più: “Ibrahimovic era molto più che un compagno di squadra, un vero leader, sempre disponibile.” E fa un paragone tra due dei più grandi talenti che ha conosciuto, Neymar e Messi: “Per Neymar, il calcio è un gioco; per Messi, è tutta la sua vita.”
Ora che la sua vita è libera dagli impegni calcistici, Pastore guarda al futuro con serenità, felice di aver chiuso il suo percorso calcistico senza rimpianti, ma portando con sé i preziosi insegnamenti e le memorie dei grandi compagni e tecnici incontrati lungo il cammino.
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